La riscossa della pasta

Alberto Sordi in “Un americano a Roma” di Steno (1954)
Pasta. Noi italiani “siamo” la pasta. Un po’ ci rispecchia caratterialmente: semplice negli ingredienti (farina, sale, acqua o uova) ma complessa nel suo insieme, tanto che la sua cottura – anche se a prima vista banale – riesce perfetta solo a noi. Perché è nel nostro DNA, da Sud a Nord ci siamo diventati grandi insieme, e per quanto ci lasciamo contaminare piacevolmente da tutto il resto, un piatto di pasta funziona sempre: da salva cena, a spuntino di mezzanotte a casa con gli amici, a ultima frontiera tornando dalle vacanze con frigo vuoto e prima del rituale saccheggio dell’Esselunga.
La ristorazione popolare e le tavole domestiche non l’hanno mai messa in discussione, ma la storia ci racconta quanto questo prodotto abbia vissuto la sua crisi, un Giovedì nero (per citare la borsa americana del ’29) arrivata attraverso una minaccia che gli chef hanno elaborato da soli negli anni Settanta.
In quel periodo infatti nasce in Francia la Nouvelle Cuisine, affermazione di creatività, abbandono di salse pesanti. “Sarai creativo” è uno dei comandamenti di questa avanguardia, sposata anche da molti cuochi italiani partiti con destinazione Oltralpe per imparare le tecniche della grande nuova cucina.
“Cucinare non è bollire la pasta”. Con questa lapidaria affermazione i francesi ironizzavano sul nostro piatto nazionale e sulle nostre capacità di fare cucina. Travolti dalla tempesta del dubbio, quello di non riuscire a traghettare la pasta dal mondo delle trattorie a quello dell’alta ristorazione, il prodotto sparisce dai menù dei locali più prestigiosi e laddove rimane è rivisto in versioni – con tutto il rispetto – piuttosto discutibili. Primo fra tutti Gualtiero Marchesi, che ridimensiona le tradizionali abbondanti porzioni proponendo l’emblematico piatto costituito da 8 penne (otto) dalle quali spuntano altrettante punte di asparago. Gli spaghetti, da fumanti diventano freddi e serviti come antipasto in insalata con astice o caviale.

pasta fresca
Erano gli anni ’80, ma ancora oggi nei ristoranti che si fregiano di una o più stelle Michelin non è facile trovare un piatto di pasta secca. Al loro posto risotti, paste fresche e ripiene. Ma, scusate la provocazione, anche tutto questo non è semplice, collaudata, storica tradizione del nostro Paese?
E comunque alla fine, nel 2006, arriva da Firenze un messaggio forte, chiaro, rivoluzionario e irriverente verso i puristi della Nouvelle Cuisine: l’Enoteca Pinchiorri, 3 stelle Michelin, mette in carta gli Spaghetti con stracotto di coniglio e cozze. È la Breccia di Porta Pia della pasta secca alla riscossa. Non bastasse, c’è accanto alla creazione di sughi innovativi, tutta una serie di rivisitazioni di piatti di pasta che hanno fatto epoca, anche da parte di chef giovani e di chiara fama. Un esempio? La cacio e pepe di Davide Oldani.
SPAGHETTI AL CARTOCCIO CACIO, PEPE E LIMONE
Ingredienti per 4 persone
Per gli spaghetti: 280 gr di spaghetti, 5 gr di olio extravergine d’oliva, 3 gr di sale.
Per la salsa: 200 ml di latte, 30 gr di Grana Padano grattugiato, 40 gr di pecorino di Pienza grattugiato, 2 gr di sale fino, 5 gr di Maizena diluita in acqua fredda.
Per la finitura: la scorza di 1 limone non trattato, 2 gr di pepe nero macinato, 4 foglie di argento alimentare (nei negozi specializzati).

Cacio e pepe di Davide Oldani
Cuocere gli spaghetti al dente, scolarli e condirli con olio extravergine. Far bollire il latte in una casseruola poi legare con la Maizena. Togliere dal fuoco e unire Grana e pecorino. Frullare tutto e passare al setaccio. Suddividere gli spaghetti sui piatti individuali e coprirli con la foglia d’argento. Servire con la salsa al cacio preparata, completare con la scorzetta di limone grattugiata.
Ecco, se fossi la pasta secca mi verrebbe da dire: “Sono tornata!”
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